De Martino 50 anni dopo

12 novembre 2015

L’iniziativa ‘Ernesto de Martino 50’, con appuntamenti e incontri in diverse città italiane, a Perugia è promossa dall’Università nel quadro delle manifestazioni di Umbria Libri 2015, e si apre come un “laboratorio di antropologia pubblica” con un  dibattito sul rapporto fra ricerca scientifica, valorizzazione dei beni immateriali, costruzione dello partecipazione democratica e  scelta strategica per le politiche della cultura. 


L’obiettivo è fare emergere l’attualità dell’opera e della memoria di Ernesto de Martino attraverso itinerari, dialoghi, confronti e qualche strumento utile per “oltrepassare” la crisi contemporanea.

Domenica 15 novembre,alle 16.30, nella Biblioteca “Mario Marte”  nel complesso monumentale di San Pietro a Borgo XX Giugno, saranno presentati e discussi due libri: “Il tarantismo oggi. Antropologia, politica, cultura (Carocci editore), di Giovanni Pizza; e “Ernesto de Martino. Teoria antropologica e metodologia della ricerca (L’Asino d’oro edizioni), di Amalia Signorelli.

Il tarantismo oggi, di Giovanni Pizza, è uno studio sulla “patrimonializzazione” del tarantismo: il classico fenomeno di possessione da morso del ragno incentrato sulla danza e musica terapeutica salentina, la cosiddetta “pizzica”,  studiato da Ernesto de Martino nel Salento Pugliese nel 1959. Di quella spedizione di ricerca che de Martino condusse in équipe in Salento nel 1959 faceva parte una giovanissima Amalia Signorelli. L’allieva, oggi, dopo una carriera da antropologa, scrive una monografia sul suo maestro, incentrata sull’attualità dell’impegno scientifico, etico-politico e civile che Ernesto de Martino ha profondamente intrecciato nelle sue ricerche ed evidente nella sua teoria, come in concetti quali “incontro etnografico”, “antropologia orientata da valori”, “etnocentrismo critico”.

Lunedi 16 novembre dalle ore 9.30 alle 18.30, a Palazzo della Penna si terrà il seminario “Ernesto de Martino, l’antropologia e la politica”. Dopo i saluti del Magnifico Rettore Franco Moriconi e del Direttore del Dipartimento di Filosofia, scienze sociali, umane e della formazione, Angelo Capecci, si apriranno i lavori con due tavole rotonde: la prima, diretta da Cristina Papa, vede la relazione introduttiva di Tullio Seppilli, che fu allievo e collaboratore di de Martino a Roma fin dai primi anni Cinquanta del secolo scorso, e con lui condivise la scelta dell’antropologia come impegno civile al servizio di un consolidamento della nascente democrazia italiana. Su quella traccia Seppilli nel 1956 fondò l’Istituto di etnologia e antropologia culturale nell’Ateneo perugino. Si continuerà con gli interventi di Andrea Carlino dell’Università di Ginevra, coordinatore nazionale del ciclo Ernesto de Martino 50, di Giovanni Pizza, direttore delle Scuola di Specializzazione in beni demoetnoantropologici e organizzatore dell’evento, di Berardino Palumbo, antropologo della Università di Messina, Flavio Cuniberto, filosofo della Università di Perugia, e infine Paolo Apolito, antropologo della Terza Università di Roma. La serata di lunedì, a chiusura dell’evento per iniziativa dell’Associazione Subasio Salento, presieduta da Fulvio Forcignanò, con il consueto impegno culturale e artistico organizza alle 19.30 presso il Caffè Morlacchi di Piazza Morlacchi  un “aperitivo salentino” nel corso del quale  Apolito interpreterà in forma di monologo teatrale il suo libro ‘Ritmi di festa’. Di seguito, infine, le musiche di pizzica salentina, a cura di Emanuele Filograna.

Ernesto de Martino oggi

di Giovanni Pizza, Scuola di specializzazione in Beni demoetnoantropologici - Università di Perugia, sede di Castiglione del Lago

Ernesto de Martino (Napoli, 1 dicembre 1908 - Roma, 6 maggio 1965) è considerato a livello mondiale il fondatore della nuova antropologia italiana: un campo di studi e ricerche a forte impatto civile e politico che si sviluppa nel nostro Paese nel secondo dopoguerra e attraversa il Novecento per proiettarsi fino al momento contemporaneo in un più vasto ambito internazionale.

In una prospettiva intellettuale e scientifica del tutto originale, nel corso del Novecento de Martino seppe fondere saperi diversi, come la storia, la filosofia, la storia delle religioni e l’antropologia, nella ricerca “etnografica” sulle culture popolari del Sud d’Italia, elaborata a partire da un intenso dialogo con le innovative proposte politico-culturali elaborate nelle carceri fasciste da Antonio Gramsci e che a partire dal 1948, l’anno della Costituzione, venivano pubblicate in Italia nei Quaderni del carcere.

Protagonista di quella stagione insorgente nella riscoperta dei diritti che seguì la Resistenza antifascista, de Martino partecipò in prima persona alla genesi della democrazia italiana. Ma la sua figura di studioso novecentesco si sporge dal secolo breve e costituisce tuttora, nei vertiginosi anni duemila, uno dei più importanti esempi di intellettuale civilmente impegnato nella comprensione della crisi e nel cambiamento della propria società.

I tratti salienti del pensiero e dell’opera demartiniana, conservano una impressionante attualità: l’analisi delle forme della “presenza” umana, dalla “crisi” al “riscatto” culturale; la critica della irrelata separazione fra i diversi campi del sapere (la storia,  l’antropologia, la medicina, la psicologia, la psichiatria) e dell’esperienza umana  (la cultura, la religione, la sofferenza, il dolore, la salute e la malattia, il corpo e la mente); i concetti di “patria culturale”,  “angoscia territoriale”, “fine del mondo”; l’idea dell’“incontro etnografico”  e la decisa avversione sia al relativismo sia all’etnocentrismo assoluto, risolta nella posizione responsabile e creativa dell'“etnocentrismo critico” come un metodo e una politica per capire e vivere l’esperienza dell’incontro fra le diversità culturali; le nozioni di “oltrepassamento”, “ethos del trascendimento” e “destorificazione” del negativo; la sua antropologia politico-esistenziale delle pratiche religiose; le letture antropologiche della stregoneria e della magia.

Sono tutti concetti, idee che evocano insieme pratiche di studio e politiche possibili, esiti sociali della conoscenza che richiamano all’unità fra pensiero e azione, fra sapere e partecipazione politica, fra teoria e pratica, in un esercizio attivo della cittadinanza che vide nell’Italia democratica un laboratorio privilegiato, contraddittorio, denso di prospettive per l’avvenire.

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